“Sbagliando si impara”! Quante volte abbiamo utilizzato questo proverbio per spronare chi ha sbagliato a ritentare, per minimizzare un errore e invitarlo a guardare avanti. Eppure, c’è chi da un errore commesso entra in un circolo vizioso e fatica ad uscirne.
Molte persone, infatti, si ritrovano ingabbiate nella sensazione di aver fallito, nella vergogna di non essere riusciti in qualcosa, nell’impossibilità di ritrovare l’energia per andare oltre, finendo in balia di emozioni negative, come la tristezza, la delusione, la rabbia, il disorientamento, l’apatia. Sensazioni che spesso annebbiano ogni possibilità di ripresa e di rilancio e dalle quali si generano ansia, vergogna, timore di sbagliare nuovamente, che portano all’evitamento e alla rinuncia. Comunemente, quindi, si passa dall’aver sbagliato al sentirsi sbagliati, al giudicarsi in toto, con ripercussioni importanti sull’ umore, sul comportamento e sulle relazioni.
Aaron Beck e Albert Ellis individuano appunto nelle loro ricerche il ruolo determinante di questo tipo di pensieri sulle emozioni e sui comportamenti, indicando come molto spesso essi diventino vere e proprie ruminazioni, pensieri di autocritica e svalutanti, che non fanno altro che alimentare lo stato emotivo negativo, creando un circolo vizioso invalidante e disfunzionale.
Spesso i modi di interpretare le situazioni, di filtrare la realtà e rielaborare quanto ci accade prendono parte alla genesi di quei pensieri disfunzionali, negativi che possono portare a sentirci sopraffatti.
Ma come possiamo riconoscerli?
Si tratta di solito di pensieri automatici, illogici, irrazionali e rigidi che si generano da un’erronea interpretazione della realtà: vi capita mai di prestare attenzione solo ad aspetti negativi specifici di una determinata situazione, ignorando invece le sfumature positive? Di estremizzare le situazioni? Di giungere a conclusioni affrettate che sembrano tuttavia insindacabili e arbitrarie?
Nello specifico le seguenti risultano essere le distorsioni più frequenti:
ESIGERE, PRETENDERE: Imporsi, cioè delle regole rigide e severe su come le cose dovrebbero andare. Frasi come “Devo ottenere questo", "Le cose devono andare secondo i miei desideri", "Gli altri devono trattarmi bene sempre “, spesso generano rabbia, tristezza, ansia e sensi di colpa.
INTERPRETARE IN MODO ERRATO: creare delle interpretazioni distorte degli eventi, traendo conclusioni che non sono supportate dai fatti, anche quando l’evidenza è in contrasto con la conclusione. Ad esempio, attribuire unicamente la colpa di un errore a noi stessi o al contrario, trovare giustificazioni in fattori esterni.
SVALUTARE: giudicare, noi stessi, gli altri o le situazioni che viviamo in maniera negativa, ignorando i lati positivi e i comportamenti specifici.
INGIGANTIRE, MINIMIZZARE, CATASTROFIZZAZIONE: esagerare gli aspetti negativi o minimizzare gli aspetti positivi propri, degli altri e delle situazioni, generando emozioni spiacevoli come paura, rabbia e tristezza.
GENERALIZZARE: non vedere mai la peculiarità di quanto sta accadendo; l’errore diventa la prova che tutto andrà male nel futuro. Parole estreme come "sempre", "mai", "nessuno", "tutti", ci portano a generalizzare ciò che ci accade e a cadere nella trappola della profezia che si autoavvera: le nostre interpretazioni, cioè, influenzano i nostri comportamenti che a loro volta hanno un effetto sulla percezione che gli altri hanno di noi e dei loro comportamenti nei nostri confronti.
PENSIERO DICOTOMICO: o pensare in “bianco e nero”, comporta vedere le cose o in un modo o in un altro, faticando a ricercare compromessi o nuove prospettive di interpretazione.
ETICHETTAMENTO: costruire delle etichette rigide e globali a sé stessi e agli altri che riducono la persona a una sola caratteristica pervasiva
LETTURA DEL PENSIERO: pensare di poter sempre sapere ciò che gli altri pensano e quali siano le ragioni dei loro comportamenti.
Pensieri automatici di questo tipo sono molto comuni, e possono essere presenti nel quotidiano di ognuno di noi, senza inficiare eccessivamente il funzionamento personale e le relazioni con gli altri.
Quando tuttavia gli stessi diventano così inflessibili da condizionare pesantemente l’umore e i comportamenti, sono difficilmente eliminabili, proprio perché la persona ne è completamente immersa e non è in grado di riconoscerli e contrastarli.
Una terapia adeguata può in questi casi consentire il riconoscimento di queste strutture rigide di pensiero e di lavorare sulla loro ristrutturazione, riducendo l’impatto sulle emozioni, sull’autoefficacia, l’autostima e i comportamenti, e consentendo il graduale sviluppo di pensieri più funzionali e realistici, un miglior adattamento e una rimessa in discussione delle proprie potenzialità e risorse di fronte agli errori.
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