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Immagine del redattoreCarlo Trionfi

La sindrome di Calimero

Chi ricorda Calimero, il pulcino nero dei cartoni animati che, con il suo guscio in testa, rappresentava il personaggio sfortunato e trascurato? Da questa immagine lo psicoanalista Saverio Tomasella ha identificato la sindrome di Calimero, della quale si è sentito parlare in anni recenti. Di cosa si tratta?


Le caratteristiche principali. Innanzitutto, questa sindrome viene ricondotta ad una forma patologica di vittimismo. La persona in questione lamenta di aver subìto ingiustizie e accusa il mondo esterno per gli eventi negativi che sperimenta, con lo scopo di ottenere l’attenzione altrui. Tanto più questo atteggiamento diviene ricorrente, tanto più esita in uno stato generale di pessimismo, disfattismo e, di conseguenza, nella percezione di impotenza dei propri mezzi.


Origine e manifestazione. L’origine del pessimismo risiede in un disagio più profondo, invisibile, che si manifesta attraverso tale nichilismo e mediante la ricerca di colpevoli per il proprio dolore. A sua volta, questa sofferenza viene strumentalizzata per ottenere la commiserazione altrui: come molti di noi sanno, sentire l’altro vicino e presente quando viviamo una difficoltà è fonte di sollievo e ciò è ben noto ai Calimero, che hanno imparato a ricercare questa sensazione lamentando le proprie sfortune.


Calimero, Peter Pan e Wendy. Negli ultimi anni si è sentito spesso parlare di sindromi che prendono il loro nome da personaggi dei cartoni animati. I social media e i siti di divulgazione hanno parlato della sindrome di Peter Pan e della sindrome di Wendy: con la prima si fa riferimento alle persone che temono il passare degli anni e - soprattutto - di fare i conti con le responsabilità del mondo adulto, mentre con l’immagine della fatina si rappresentano le persone caratterizzate dalla totale disponibilità verso terzi e dalla tendenza alla soddisfazione dei bisogni altrui. Queste sindromi non sono attualmente presenti nel manuale diagnostico statistico (DSM V - TR), ma vengono spesso apposte per identificare atteggiamenti e comportamenti di un individuo con l’unico fine di indirizzare il lavoro terapeutico.


Questi sintomi parlano di sofferenza. Leggendo le varie definizioni può capitare di riconoscersi nella persona ‘’brontolona’’ e pessimista personificata da Calimero, nel personaggio di Peter Pan che ha timore di crescere o nella tendenza eccessiva a soccorrere l’altro, come nella sindrome di Wendy. Tuttavia, è bene ricordare che quando si tratta di diagnosi si fa riferimento a condizioni in cui i tratti tipici creano nell’individuo un disagio clinicamente significativo che, per esempio, rende difficile o impossibile affrontare le attività quotidiane e gestire le relazioni interpersonali. Dunque, si rammenta che sentirsi ogni tanto come Calimero, Peter Pan o Wendy, non implica necessariamente soddisfare i criteri di una sindrome. In ogni caso, quando meccanismi come il bisogno persistente di ricercare l’attenzione altrui mediante l’autocompassione si impongono nella vita quotidiana come ostacoli al proprio benessere, è importante affrontarli e comprenderne le origini. Rivolgendosi ad uno specialista della salute mentale è possibile individuarne le radici e fare i conti con la fatica psichica che vi sta alla base, trovando una nuova stabilità e benessere.


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