Il reinserimento sociale dei giovani in epoca di pandemia
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Reinserimento sociale dei giovani in epoca di pandemia Chiara Lupo

Aggiornamento: 26 nov 2022

In epoca di pandemia e di conseguente reclusione, alcuni sintomi possono attenuarsi, ed altri incrementarsi. I meccanismi di difesa mutano e si adeguano alla nuova situazione di “ritiro” forzato, cambiando il modo di percepirsi e di percepire l’altro, e il mondo esterno. In questo assetto straordinario, la mente e l’emotività accentuano alcune doti senzienti, e ne anestetizzano altre. Attivano nuove risorse adattative e di riflessione, che stimolano un processo evolutivo. I giovani, per i quali la vita sociale e il contatto sono la maggiore fonte di felicità e di interesse, hanno dato fondo a tutte le loro risorse per sopportare la quarantena, in solitudine e in molti casi a stretto contatto con la famiglia che controlla e “dirige”. Si sono abituati a stringere i denti, a squadernare le loro risorse più introspettive. Tanti di loro hanno cominciato a fare colloqui con noi terapeuti, per farsi aiutare, indubbiamente, ma anche perché prendono piacere al parlare e al riflettere su di sé.

Alcuni di loro hanno “scordato” i loro sintomi di paura, panico, ipocondria; hanno cioè, incredibilmente, attenuato molto la sintomatologia. Questo perché “ubi major minor cessat”: la tragedia collettiva, il malessere che provavano ora è di tutti, e alcuni mali sembrano loro secondari, di tono minore, e fan loro addirittura simpatia, come un ricordo di infanzia. Questi giovani, tra cui i reclusi sociali, ma anche per tutti coloro per i quali la dimensione della relazione costante era faticosa, si trovano bene in una dimensione semplificata e protetta, un rifugio sicuro, dove i contatti ci sono naturalmente (virtuali), ma non fanno più paura. Il mondo degli adulti, quello della corsa senza posa e degli impegni in successione continua è fermo, e non per colpa loro o per la loro incapacità a reggere il ritmo. E’ così per tutti. La rivincita della lentezza.

Non c’è più l’obbligo di essere sempre in relazione e sempre nella prestazione. Finalmente c’è posto per tutti e finalmente ci si può rilassare. La gara è ufficialmente sospesa.

E anche coloro che nella gara della giovane vita erano ai primi posti, ma con un prezzo molto alto, quello della tensione e dell’ansia, possono rilassarsi un po’.

Questo non vale naturalmente per tutti, tanto giovani aspettano con ansia il momento in cui potranno tornare nella vita reale, ma alcuni, come detto, hanno accolto l’ultimo decreto e quello in arrivo con un abbrevio che sorprende genitori e amici.

Si sono trovati comodi nel confinamento, si sono accoccolati nella loro casa e nel loro spazio interiore, e abbandonano malvolentieri quel rifugio tiepido e ormai affettivo, in cui si sentivano sicuri, disintossicati, “non contaminabili” da nulla; dal virus, ma anche dalle difficoltà della vita in un mondo performante e, dal loro punto di vista, spesso agitato.

Questa disposizione emotiva si attenuerà fino a scomparire una volta riabituati alla vita in esterno.


Non deve allora stupire se quadri soggettivi gravemente compromessi mostrano segni di miglioramento in una condizione come quella che stiamo vivendo. Lo stesso accade, almeno nella mia esperienza, con quei giovani pazienti che da anni vivevano volontariamente tagliati fuori dal mondo, reclusi nella loro camera, separati da ogni forma di relazione sociale che, con le nuove condizioni di vita dettate dalle misure del distanziamento sociale, manifestano invece un inatteso ritorno alla socializzazione, al dialogo coi loro genitori, alla riapertura della loro vita. Leggo in questo cambiamento di posizione un insegnamento: tornano alle relazioni proprio quando le relazioni vengono interdette, ma, soprattutto, quando esse appaiono spogliate di ogni contenuto performativo.


A rovescio, per tutti coloro che in modi diversi vivevano l'obbligo dell'essere in relazione come una fonte di disagio permanente, il Covid 19 ha consentito di rifugiarsi nelle proprie dimore. In questi casi la quarantena non è stata un incubo, ma un sogno che si realizza: vivere solitari senza dover più sopportare il peso psichico della relazione, trasformando la propria casa in una tana.


Non è allora così infrequente - ed è questo un nuovo sintomo provocato dall'epidemia - verificare la difficoltà diffusa a ritornare all'aperto, ad abbandonare il chiuso. Nulla come il confinamento ha realizzato il miraggio della decontaminazione e della sicurezza assoluta.


Il distanziamento sociale non si manifesta solo come un'esigenza sanitaria, ma anche come un fantasma arcaico dell'essere umano: evitare lo sconosciuto, l'aperto, l'ignoto. Non c'è dubbio che per diversi soggetti il confinamento si sia rivelato una soluzione radicale del problema della relazione. Una nuova pulsione claustrofilica si è sviluppata accanto all'angoscia claustrofobica che ha spinto invece molti a desiderare di ritornare il prima possibile all'aperto.


Poi ci sono ovviamente i chiari aggravamenti che sono di gran lunga più numerosi: angoscia di impoverimento legata alla precarizzazione della vita, angoscia depressiva accompagnata a fenomeni di insonnia, crisi di panico, impotenza sessuale, somatizzazioni varie. Si tratta di una particolare configurazione depressiva che anziché patire il peso del passato - il depresso vive sempre all'ombra di ciò che sente di aver perduto nel proprio passato - , mostra quanto il sentimento della perdita investa il nostro futuro realizzandosi nella fantasia apocalittica di non ritrovare più il mondo come lo conoscevamo prima.


Anche per coloro il cui narcisismo necessitava dello specchio degli altri per rendere la propria vita vivibile, il confinamento ha avuto un effetto depressivo segnando il ripiegamento mesto della loro immagine appassita perché privata del nutrimento necessario dello sguardo degli altri. In questi casi il ricorso al cibo, all'alcool, o a qualunque altra sostanza, unito ad una irritabilità di fondo, si è incentivato. In particolare, il cibo appare come lo strumento più facilmente a portata di mano per compensare un difetto di gratificazioni sociali.


La quarantena ha messo alla prova le nostre risorse emotive più profonde. Ha imposto una benefica disintossicazione psichica dalla nostra iperattività e dalle nostre dipendenze quotidiane più inessenziali costringendoci ad una sorta di introversione obbligatoria.


Per questa ragione la frustrazione legata alla privazione della libertà ha colpito soprattutto i giovani e i bambini e, in seconda battuta, quegli adulti più simili ai giovani e ai bambini, ovvero più incapaci di coltivare interessi profondi senza ricorrere alla convivialità dell'incontro o alla socializzazione.


Sarà molto probabile con la progressiva riapertura attendersi un incremento considerevole delle fobie sociali. Un paziente gravemente ossessivo mi ha confidato uscendo di casa per la prima volta dopo una lunga quarantena di aver visto con sorpresa che il mondo assomigliava al suo sintomo: angoscia di contaminazione, ritualizzazione, lavaggi ripetuti delle mani, ossessione per lo sporco, distanziamento ed evitamento del contatto con i propri simili. "Mi sembrava di essere a casa", ha concluso non senza una certa soddisfazione.

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