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Immagine del redattoreCarlo Trionfi

Personalità e trattamento dei giovani autori di reato


Parleremo oggi di giovani delinquenti e del loro trattamento, ossia come i giovani arrivano a commettere un crimine e come possiamo lavorare per favorire la loro riabilitazione e ridurre il rischio di recidiva.

Il primo concetto che dobbiamo introdurre per capire cosa spinge un giovane a commettere un crimine riguarda la considerazione della psicologia dello sviluppo e della psicopatologia. In questo contesto, ogni sintomo, ogni comportamento patologico o disadattivo deve essere considerato strettamente legato al percorso di sviluppo che il giovane sta affrontando e ai significati che guidano quel particolare percorso di sviluppo.

Il paradigma dello sviluppo non riguarda solo bambini e giovani. Riguarda un modo particolare di considerare gli individui a qualsiasi età come soggetti all'interno di un percorso di crescita e sviluppo. Da questa prospettiva, sentimenti, comportamenti e relazioni sono legati a quel percorso di sviluppo specifico. Con questo in mente, ciò che stiamo per dire oggi sui giovani criminali può essere esteso in modo sicuro, con le dovute differenze, anche all'età adulta.

Un primo dato interessante riguarda lo sviluppo del comportamento aggressivo dal primo infanzia all'adolescenza.

 

Alcuni ricercatori hanno misurato il numero medio di aggressioni nei maschi a diverse età. Come vedete nel grafico, l'aggressività tende a essere abbastanza controllata fino all'età di 13 anni, poi abbiamo un picco nel comportamento aggressivo durante l'adolescenza e, a partire dai 17 anni, l'aggressività torna sotto controllo.

Non sorprende vedere che gli adolescenti tendono ad essere più aggressivi rispetto ai bambini in età scolare e agli adulti.

Questo fenomeno è spiegato anche dal punto di vista neurobiologico.

Giedd e Thompson, ad esempio, due neuroscienziati, alcuni anni fa hanno scoperto che uno dei cambiamenti più significativi nello sviluppo cerebrale avviene durante l'adolescenza nella corteccia frontale e prefrontale. È in queste aree che si svolgono il controllo degli impulsi, la regolazione delle emozioni, la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni e i processi decisionali razionali.

 


Come potete vedere in quell'immagine, queste cosiddette "funzioni esecutive" non raggiungono lo sviluppo completo fino alla prima età adulta.

In questa immagine vediamo come si sviluppano le connessioni neuronali nell'area prefrontale.

Vedete che lo sviluppo completo delle aree prefrontali, quelle incaricate del controllo razionale, è tardivo e si completerà intorno all'età di 20 anni, quando queste aree diventeranno anche blu.

Altri studi hanno dimostrato che poiché la corteccia prefrontale è ancora in fase di sviluppo, i giovani prima dei 18 anni utilizzano un altro organo, l'amigdala. Questo è un organo molto più primitivo che si è sviluppato in modo più precoce filogeneticamente ed è situato nella parte profonda e antica del cervello. L'amigdala è deputata alla generazione di risposte emotive istintive, come ad esempio reazioni allarmate a situazioni pericolose. L'amigdala è un attivatore del sistema nervoso simpatico che porta alla generazione di risposte di fuga o attacco (cioè, aumento della frequenza cardiaca, più sangue nei muscoli periferici per correre e combattere intensamente, sudorazione, midriasi, con l'ingrandimento dell'iride negli occhi, per favorire una visione più attenta, ecc.).

Ciò che voglio dire è che gli adulti usano il lobo frontale per modulare i loro comportamenti; gli adolescenti stanno appena iniziando a sviluppare questa capacità.

Inoltre, i giovani maschi dalla pubertà producono dosi elevate di testosterone, che promuove il comportamento aggressivo.

Queste sono ragioni neurologiche e biologiche.

C'è anche una ragione psicologica per lo sviluppo di comportamenti aggressivi e trasgressivi nell'adolescenza. Consideriamo prima cosa succede nell'infanzia. Il riconoscimento sociale e familiare di un bambino è misurato dal grado di obbedienza. In sostanza, più un bambino è obbediente, più può fare ciò che genitori e insegnanti gli dicono di fare; quindi, più si conforma alle aspettative sociali, più sarà riconosciuto come buono e capace. Quindi, ad esempio, se fa tutti i compiti, sarà considerato bravo, se obbedisce ai genitori facendo ciò che gli chiedono, sarà un bravo bambino. 

Come sicuramente saprai per esperienza personale, nell'adolescenza le cose smettono di funzionare in quel modo e spesso coloro che sono eccessivamente obbedienti vengono considerati deboli. In questa fase, la capacità è misurata intorno ad altri parametri che riguardano la capacità di riuscire a raggiungere gli obiettivi, cavarsela nella vita, acquisire l'indipendenza e così via. Devi farlo anche se richiede di scontrarti con adulti, genitori ad esempio, o entrare in conflitto con i tuoi coetanei. Puoi facilmente capire che questo modello di funzionamento stimola molto di più l'aggressività e la trasgressione rispetto al modello accondiscendente utilizzato durante l'infanzia.

Quindi possiamo dire che ci sono buone ragioni per cui l'adolescenza è l'età più aggressiva della vita.

In realtà, sbaglieremmo se dicessimo questo. C'è, infatti, un'altra fase della vita durante la quale siamo molto più aggressivi.

 

Come puoi vedere in quell'immagine, se contiamo il numero di aggressioni compiute in media dai maschi intorno all'età di 3 o 4 anni, possiamo osservare che in questa fase siamo più dispettosi di tutta la vita: in questa fase è molto più comune picchiare i compagni o aggredirli prendere oggetti da loro o gridare loro. Ma perché allora nessuno si spaventa di un comportamento aggressivo di un bambino di tre anni e invece siamo molto allarmati quando è un adolescente a diventare aggressivo o trasgressivo? Questo dipende dal potere dei giovani, ovvero dal danno che i giovani possono fare.

Il giovane durante l'adolescenza è in qualche modo ancora un bambino ma in un corpo che è ora adulto e forte.

Quindi, c'è uno squilibrio elevato nell'adolescenza tra lo sviluppo fisico ed emotivo che fornisce a lui o lei molta energia e lo sviluppo cognitivo che è ancora incapace di controllare questa energia per metterla definitivamente al servizio dell'adattamento sociale.

Allo stesso tempo, l'adolescente deve completare alcune fondamentali attività di sviluppo che, se tutto va bene, gli permetteranno presto di accedere all'acquisizione di un'identità e un ruolo sociale adulti.

 

Se il giovane può affrontare:

1. l'attività di soggettivazione, che significa riconoscersi come un soggetto indipendente e separato dai suoi genitori e da tutti gli altri adulti, se può mentalizzare

2. il suo corpo, ovvero acquisire un'identità in una relazione positiva e armoniosa con il suo corpo ora sessuato, 

3. se può sviluppare buone abilità sociali e aspirare ad acquisire un ruolo sociale adulto, allora può accedere al mondo degli adulti e sentirsi potente e capace in quel mondo.

Stiamo ancora osservando il giovane in una dimensione di sviluppo, e nella dimensione della psicologia dello sviluppo, queste sono le tre principali attività che ogni adolescente deve compiere per crescere e diventare adulto:

Soggettivazione

Mentalizzazione del corpo sessuato

Abilità sociali adulte.

Se per varie ragioni alcune di queste attività non possono essere svolte, l'adolescente affronterà una crisi di sviluppo, uno stop dello sviluppo. Qualcosa gli impedisce di crescere. Tutta la potenza del suo corpo e tutta l'energia prodotta dal suo cervello ancora immaturo non sono in grado di sbloccare lo sviluppo: il sistema rimane bloccato. Non c'è modo di andare avanti, e la rabbia tende a prevalere.

Lasciami darti un esempio:

Giovanni è in prigione. Ha 17 anni e quando lo incontro per la prima volta, è molto depresso. Fatica a parlare. Sembra disorientato.

Gli faccio una domanda che uso sempre all'inizio dei miei colloqui. Voglio sapere perché è lì, quindi gli chiedo: "Cosa stai facendo qui ora?"

 

Questa frase è importante perché ogni parola in essa è importante: Analizziamola.

Tu, è un richiamo all'identità. Fornisce al ragazzo l'idea che è qualcuno e che sono interessato a lui, che lo sto guardando e l'ho notato. Questi ragazzi non sono abituati a essere visti e riconosciuti da un'altra persona interessata alla loro identità e al loro processo identitario.

Qui, ora. L'appello è alla dimensione storica. "In questo momento della storia, nella narrazione della tua vita, tu come l'eroe della tua storia, perché sei in questo luogo? Qual è il significato di essere in questo luogo per la tua vita? Quello che voglio comunicare implicitamente è che: una parte importante del lavoro che faremo sarà scoprire perché tu, l'eroe della storia della tua vita, sei qui oggi." Come quei romanzi che si aprono con una scena, che potrebbe essere l'incarcerazione in prigione, e poi nei capitoli successivi raccontano tutto il prologo di quella situazione.

Cosa stai facendo? Ci riporta non solo alle ragioni per cui quel ragazzo è arrivato lì, ma chiama all'azione. Fornisce l'idea che ora c'è qualcosa da fare, che è coinvolto in un compito, che quell'eroe, che è lui, è lì per fare qualcosa, per risolvere la crisi che sta vivendo in quel momento.

È un richiamo implicito a un senso di responsabilità. Il tema del riattivare la responsabilità è fondamentale in queste situazioni, e il concetto di responsabilità dovrebbe essere riconosciuto nel suo duplice significato:

responsabilità per il crimine commesso, responsabilità penale, responsabilità forense; e responsabilità per la nostra vita: il sentimento di essere il creatore del nostro futuro e delle nostre relazioni, la possibilità di percepirsi come esseri intenzionali capaci di guidare la propria vita. I giovani criminali non hanno la piena consapevolezza che le loro azioni costruiscono la realtà sociale in cui vivono. Nella loro esperienza, spesso, fin dalla nascita c'è l'idea che ciò che fanno non cambia nulla nella loro vita e nelle loro relazioni. C'è l'idea che le loro azioni relazionali non siano viste dal mondo, dai loro genitori prima e dal contesto sociale poi. Spesso hanno l'idea che, anche se fanno tanto, nulla cambia per loro e per le persone intorno a loro. Questo sentimento porta alla mancanza di responsabilità: "se le mie azioni non cambiano nulla, se non hanno una capacità trasformativa nei rapporti reciproci, sperimenterò la rabbia dell'impotenza e non sarò in grado di riconoscere profondamente il danno che i crimini che ho commesso hanno causato agli altri, alla società, al mondo. Se la mia azione non cambia nulla, non posso avere alcuna colpa per il danno che causo.

Quindi, quando chiedo, "Cosa stai facendo?" sto invocando l'idea che sono interessato alle azioni di quel giovane, considerate come azioni intenzionali e finalizzate. Azioni per le quali è responsabile, azioni che ha compiuto (come azione criminale, ad esempio) e azioni che dovrà compiere per costruire il suo futuro.

Torniamo a Giovanni. Giovanni è in prigione per rapina. Ha rapinato diverse farmacie e alcune banche. Giovanni ha commesso questi crimini nel giro di pochi giorni. Non immaginatevi le rapine in banca che vedete nei film. Entrava semplicemente in banca durante il giorno o in farmacia di notte e, con una pistola, chiedeva all'impiegato di dargli tutto il denaro contante.

Gli chiedo come si sentisse quando stava compiendo le rapine e lui dice che si sentiva eccitato e forte come non aveva mai provato prima. Con i soldi delle rapine, qualche centinaio di euro, spesso non più di tanto, comprava subito vestiti e riusciva a mettere da parte qualcosa per comprare una moto.

Dopo pochi giorni, la polizia lo aveva preso, lo aveva riconosciuto dalle telecamere e poi era venuta a prenderlo a casa. Per lui era stato un momento di grande vergogna essere arrestato davanti a tutta la sua famiglia.

Mi colpisce quando racconta che si sentiva eccitato mentre faceva le rapine, e gli chiedo se ci fossero altri momenti della sua vita in cui si sentiva così eccitato. Mi dice che era un periodo difficile. La ragazza con cui era stato in una relazione per due anni lo aveva lasciato e si era fidanzata con un amico. Aveva passato alcuni giorni molto brutti, chiuso in casa. Poi, una notte, improvvisamente era uscito, era entrato in una farmacia e l'aveva rapinata, e per la prima volta da molto tempo aveva provato un'emozione.

Riguardo alla sua famiglia, dice che aveva un padre molto severo che spesso si arrabbiava con lui, i suoi fratelli e sua madre. Quando si arrabbiava, spesso li picchiava e tutti avevano paura. "Quando mi colpiva, non mi faceva male. Non provavo dolore, sapevo che dovevo resistere al dolore e vincere sulla paura. Dovevo dimostrarmi che non sentivo il dolore, che non sentivo più nulla. Nulla mi toccava più. Così mi sentivo invincibile", dice Giovanni. (I bambini che vengono picchiati spesso hanno questa reazione: diminuiscono notevolmente il loro livello di percezione del dolore per poter affrontare gli abusi. Ciò dà loro la sensazione di essere invincibili, ma il prezzo è la perdita della sensibilità emotiva.) "Mio padre non poteva più farmi del male", dice Giovanni. "Quando però picchiava mia madre, volevo spaccargli la faccia ma non l'ho mai fatto. Non ho mai avuto il coraggio di farlo, e mi sono sempre sentito un vigliacco per questo."

Vedi come la personalità delinquente si costruisce a partire dalla storia di ciascuna persona in una prospettiva evolutiva. Spesso la delinquenza è associata a abusi traumatici durante l'infanzia. In questo caso, gli abusi subiti in famiglia avevano creato in Giovanni un movimento di negazione delle emozioni che, da un lato, era funzionale a mantenere un'immagine di sé grandiosa, sentendosi invincibile, dall'altro lato lo aveva portato a sperimentarsi come impotente, vigliacco e spaventato di fronte alla violenza del padre verso sua madre, ma soprattutto lo aveva portato a non provare più alcuna emozione, né positiva né negativa.

Questi eventi hanno segnato la vita di Giovanni e lo hanno investito di un importante compito evolutivo: recuperare le emozioni perdute e riconquistare il potere che gli avrebbe permesso di salvare sua madre dagli abusi del padre.

"Poi ho conosciuto Mary", dice Giovanni. "Abbiamo iniziato ad avere qualche appuntamento, per un po'. Lei mi rispettava molto. Era diversa dalle altre persone, mi considerava, mi diceva che ero forte, che ero figo. Mi faceva eccitare. Volevo vederla tutto il tempo e ho iniziato ad essere molto geloso, volevo solo proteggerla. Non mi piaceva che vedesse altre persone. Ma dentro di me sapevo che prima o poi mi avrebbe lasciato". Vedete come nella relazione romantica, nell'incontro con Mary, Giovanni sembra voler completare il suo compito evolutivo. Recupera le emozioni perse e il coraggio di proteggere la sua ragazza, lo stesso coraggio che gli mancava con sua madre. Recupera il potere che non aveva a casa.

La perdita di Mary lo fa vivere queste conquiste come illusorie. Il mondo sembra crollare su di lui. Giovanni affonda in una profonda crisi evolutiva in cui si chiude in se stesso, e la rottura depressiva vissuta per alcuni giorni lo riporta a un senso di impotenza e alla perdita di ogni emozione. 

Questo è ciò che è la depressione: la totale perdita di ogni emozione.

Quindi ci troviamo in una situazione di blocco evolutivo.

C'è un autore che ha lavorato ampiamente con giovani delinquenti, specialmente in Italia, il suo nome è Novelletto. Introduce un concetto molto importante per comprendere il comportamento delinquenziale. Il concetto di "Fantasia di Recupero Maturativo".

Novelletto ritiene che, quando un giovane commette un crimine si trovi generalmente in una situazione di blocco dello sviluppo. In questa situazione, fallisce nell'eseguire alcuni dei suoi compiti di sviluppo più importanti. Non può più andare avanti. Si trova costantemente bloccato, impotente. In tali situazioni, può sorgere nel giovane la fantasia di recuperare simbolicamente la maturazione che non è riuscito a raggiungere attraverso l'atto criminale. Il crimine diventa il mezzo simbolico illusorio per superare il blocco dello sviluppo, per riuscire a completare i suoi compiti di sviluppo e raggiungere l'età adulta, con il pieno potere e l'indipendenza di un adulto.

Si può vedere, quindi, che alla luce di questo concetto, il crimine commesso da Giovanni assume un significato diverso. 

Di fronte alla percezione di un blocco dello sviluppo, di fronte al rischio di una chiusura depressiva, con la perdita drammatica di tutte le emozioni appena ritrovate, e di fronte alla perdita del senso di potere e potenza che la sua relazione con Mary finalmente gli aveva fatto provare, Giovanni sente di dover reagire, di dover dimostrare ancora una volta al mondo la sua potenza.

La rapina gli permette di sentirsi di nuovo potente. L'emozione, cioè, il brivido che sorge quando Giovanni estrae la sua pistola e vede che le persone fanno ciò che dice, che riconoscono il suo potere. Di fronte a lui, in quei momenti, simbolicamente non ci sono l'impiegato di banca o l'impiegato di farmacia, ma c'è suo padre che ora può dominare. La fantasia di mostrarsi finalmente agli amici con abiti firmati e una motocicletta lo fa sentire ancora di più nel suo potere.

 

Giovanni non capisce quanto illusoria sia la sua fantasia di recupero maturativo e ripete in modo compulsivo quei comportamenti, quei crimini, che gli permettono di sentirsi adulto e potente.

Nel momento in cui la polizia lo arresta, vediamo nuovamente il crollo dello sviluppo e la detenzione diventa il luogo della depressione: Giovanni è ora bloccato nella sua impotenza e nulla sembra toccarlo emotivamente. Non prova nessun senso di colpa per ciò che ha fatto. Semplicemente non prova più niente. Né colpa né dolore. Come sempre, come sempre nella sua storia.

Fermiamoci un attimo a parlare di Giovanni e discutiamo del trattamento dei giovani delinquenti. Vediamo cosa ci dice la letteratura.

Vi consiglio di leggere un libro in cui viene effettuata un'analisi di centinaia di studi sul trattamento degli autori di reato. Si intitola "What Works Reducing Offending" di James McGuire.


 


McGuire ha analizzato centinaia di articoli scientifici su questo argomento e è giunto alla conclusione che ci sono alcuni trattamenti effettivamente efficaci nel senso che riducono il rischio di recidiva, cioè riducono il rischio che un giovane commetta un nuovo crimine, ma ci sono molti altri cosiddetti "trattamenti" che, al contrario, aumentano il rischio di recidiva.

Una prima scoperta riguarda il fatto che la detenzione, la prigione, aumenta il rischio di recidiva. Un adolescente, ma anche un adulto, quando esce di prigione ha maggiori probabilità di recidivare rispetto a prima. Quindi possiamo dire che, da un certo punto di vista, la prima cosa che si può imparare in prigione è diventare un criminale. Quando mettiamo una persona in prigione, gli stiamo insegnando a diventare un criminale. Questo ci fa già capire che è anche socialmente necessario e conveniente minimizzare la detenzione, in generale e in particolare per i giovani. Fa impressione anche conoscere i costi economici così come i costi sociali della detenzione: in Italia, ad esempio, un adolescente in prigione ha un costo per il sistema di giustizia di circa 500 € al giorno, molto più di un hotel di lusso, e giuro che le carceri italiane sono molto diverse da un hotel di lusso. Si capisce facilmente quanti interventi riabilitativi potrebbero essere condotti con questa cifra se il ragazzo potesse essere lasciato nel suo ambiente di vita.

Consideriamo anche che, almeno in Italia, la percentuale di adolescenti detenuti rispetto a coloro che hanno commesso reati è molto bassa. Credo che sia intorno al 10-15 percento. Tutti gli altri continuano a vivere a casa o in comunità di trattamento.

 

Una seconda scoperta, come puoi vedere in questa immagine, è che tutti i trattamenti sanzionatori, ad esempio quelli basati sulla punizione, hanno l'effetto di aumentare il rischio di recidiva, mentre, in generale, i trattamenti psico-socio-educativi basati sul recupero delle abilità evolutive dell'adolescente hanno un effetto molto positivo, riducendo significativamente il rischio di recidiva.

 


Ma diamo uno sguardo più dettagliato a quali trattamenti funzionano. McGuire, nella sua meta-analisi di tutte le ricerche sull'argomento, indica che quei trattamenti che tengono conto dei bisogni criminogeni dell'offensore funzionano bene nel ridurre la recidiva.

Non funziona dare punizioni, non è utile favorire il legame con il gruppo dei pari, è anche negativo lavorare esclusivamente sul senso di sé e sull'autostima dell'offensore o trattare i problemi emotivi dell'offensore. L'analisi del pensiero criminale sembra anche non essere efficace, e anche l'esercizio fisico che molti giovani svolgono in prigione non porta a grandi risultati.

Invece, tutti i trattamenti che si occupano dei bisogni criminogeni funzionano molto meglio e riducono significativamente la recidiva. I bisogni criminogeni sono quei bisogni che il delinquente soddisfa attraverso le sue azioni criminali. Quindi è necessario comprendere le motivazioni sottostanti, capire perché per quel delinquente è così utile commettere quel crimine. Ed è importante anche aiutare il giovane a trovare possibili alternative e fonti più socialmente accettabili per soddisfare i suoi bisogni criminogeni.

Torniamo a Giovanni, vediamo quali sono i suoi bisogni criminogeni. La consapevolezza che le rapine non rispondono al bisogno di più denaro, ad esempio, ma rispondono al bisogno di recuperare le sue emozioni e il potere persi durante l'infanzia, ci permette di considerare quale intervento mettere in atto per soddisfare questo bisogno, superare il suo blocco evolutivo e finalmente percepirsi come forte e in grado di governare le sue emozioni senza dover commettere altri crimini.

Dopo i primi colloqui condotti con Giovanni, durante i quali ho analizzato dettagliatamente la sua storia, il suo blocco evolutivo, i suoi bisogni criminogeni e la sua fantasia di recupero maturativo, è stato possibile per lo stesso Giovanni diventare più consapevole di ciò che gli era accaduto, della profonda motivazione che lo aveva portato a commettere quel crimine. Con il passare dei giorni e l'avanzare dell'intervento, Giovanni ha cominciato a essere più responsivo e meno depresso, a capire "cosa stesse facendo lì", e di conseguenza, a riacquistare la sua forza.

È stato in grado di riconoscere più facilmente anche la sua profonda responsabilità per il crimine commesso. Grazie a questo percorso, a Giovanni è stata data l'opportunità legale di accedere al beneficio della libertà vigilata. La libertà vigilata è un beneficio legale utilizzato in molti paesi che consente al giovane delinquente, nel momento in cui assume la responsabilità per il crimine, di sospendere il processo che lo sta giudicando e di avviare un progetto rieducativo pensato appositamente per lui per un tempo definito. Alla fine del progetto, se il giovane ha avuto successo nel raggiungere gli obiettivi riabilitativi stabiliti nel progetto, il crimine sarà cancellato e penalmente sarà come se non fosse mai accaduto.

Questo beneficio legale può essere applicato anche per reati molto gravi come crimini violenti, rapine, omicidi o tentati omicidi, ad esempio. La ricerca sulla libertà vigilata indica che questo dispositivo legale è molto efficace nel ridurre la recidiva: più del 50 percento dei giovani in libertà vigilata non commette ulteriori reati.

Riguardo a Giovanni, il programma di libertà vigilata è stato sviluppato sulla base delle osservazioni che l'intero team di trattamento ha fatto (cioè, io nel mio ruolo di psicologo, insieme a educatori, guardie, assistenti sociali, ecc.).

Questo includeva:

1. Collocare Giovanni in una comunità educativa che lo tenesse lontano dal contesto familiare, ritenuto inadatto alla luce dei comportamenti del padre.

2. Il collocamento di Giovanni in una scuola secondaria per meccanici, che lo avrebbe aiutato a creare una competenza professionale in un settore, come quello dell'automobilismo, che lo aveva sempre interessato. Una scuola del genere è stata scelta per favorire la creazione di una competenza che avrebbe dato a Giovanni l'opportunità di mettere la sua forza fisica al servizio di una professione riconosciuta, alimentando così in lui un senso di auto-potere e auto-efficacia.

3. Inoltre, dopo aver sperimentato un corso di teatro mentre era in prigione, Giovanni ha chiesto di poter continuare questa attività al di fuori della prigione. Il lavoro sull'espressione emotiva nel contesto teatrale sembrava rispondere al bisogno di Giovanni di concentrarsi e percepire le sue emozioni, rimanendo in contatto con il suo lato più emotivo.

4. Infine, Giovanni continuerà a ricevere supporti psicologici ed educativi.

Dopo due anni dal termine di questo progetto, Giovanni è riuscito a completare con successo la sua libertà vigilata. In breve tempo, ha iniziato a lavorare in un'officina meccanica e ora ripara grandi motociclette nelle periferie di Milano, ottenendo presto anche il suo spazio abitativo indipendente.

Si può vedere come la risposta legale, il progetto di riabilitazione, in questo caso sia riuscito a soddisfare i bisogni criminogeni di Giovanni, facilitando l'accesso a una vita adulta adattata e soddisfacente, cancellando il rischio di recidiva.

Purtroppo, le cose non riescono sempre così facilmente, ma è importante lavorare per una cultura della punizione basata sul riconoscimento dei bisogni, specialmente quando si lavora con gli adolescenti.

Quello che penso con certezza è che tutte le persone, ma soprattutto i giovani, hanno il diritto di essere curati e riabilitati anche se hanno commesso un crimine.

Personality and treatment of young offenders.

 

Today we are going to talk about young offenders and their treatment, that means, how a youths come to commit a crime and how we can work to foster their rehabilitation and decrease the risk of recidivism.

The first concept we need to introduce in order to understand what motivates a youth to commit a crime pertains to the consideration of developmental psychology and psychopathology. In this matter, every symptom, every pathological or maladaptive behavior must be considered as deeply linked with the developmental path that this youth is taking and with the meanings that guide that particular developmental path.


The developmental paradigm is not only concerned with children and youths. It regards a particular way of considering individuals at any age as subjects within a path of growth and development. From this perspective, feelings, behaviors, and relationships are linked with that specific developmental path. With this in mind, what we are going to say here today for criminal youths can be safely extended, with due differences, to adulthood as well.

A first interesting fact to reason about concerns the development of aggressive behavior within the individual growth from early childhood to adolescence.

Some researchers have measured the average number of aggressions in males at different ages. As you see in the graph, aggression tends to be fairly controlled until age 13, then we have a spike in aggressive behavior during the course of adolescence, and then from the age of 17 aggression comes back under contròl.

We are not surprised to see that teenagers tend to be more aggressive than school-age children and adults.

This phenomenon is also explained neurobiologically.

Giedd and Thompson for exemple, two neuroscientists, a few years ago found that one of the most significant changes in brain-development, occurs during adolescence in the frontal and prefrontal cortex. It is in these areas that impulse control, emotion regulation, awareness of the consequences of one's actions, and rational decision-making processes, take place.


As you can see in that image, these so-called “executive functions” do not reach full development until early adulthood.

In this picture we see how the neuronal connections in the prefrontal area develop.

You see that the full development of the prefrontal areas, those charged with rational control, is late and will be completed around the age of 20, when these areas also turn blue.

Other studies have shown that because the prefrontal cortex is still developing, youth before 18 use another organ, the amygdala. This is a much more primitive organ that also developed earlier phylogenetically and that is inside the deep and ancient part of the brain. The amygdala is deputed to the generation of instinctive emotional responses as, for example, alarmed reactions to dangerous situations. Amigdala is an activator of the sympathetic nervous system that leads to the generation of flight or fly responses. ( that means increased heart rate, more blood in periferia muscles to run and fight hard, sweating, mydriasis, with the enlargement of the iris in the eyes, to encourage more attentive vision, etc.).

What I mean is that adults use the frontal lobe to modulate their behaviors; teenagers are just beginning to develop this ability.

In addition, young males from the time of their sexual development produce high dosage of testosterone, which promotes aggressive behavior.

These are neurological and biological reasons

There is also a psychological reason for the development of aggressive and transgressive behavior in adolescence. Let us first consider what happens in childhood. A child's social and family recognition is measured by the degree of obedience. Basically, the more obedient a child is, the more he or she can do what  parents and teachers tell him or her to do, so the more compliant he or she is with social expectations the more he or she will be recognized as good and capable. So, for example, if he does all his homework, he will be good, if he obeys his parents by doing what they ask he will be a good child.

As you certainly know from personal experience, in adolescence things stop working that way and often those who are overly compliant are considered weak. In this age, capability is measured around other parameters that have to do with being able to succeed in achieving the goals, getting by in life, gaining independence and so on. You have to do so even if it requires pitting yourself against adults, parents for example, or getting into fights with peers. You can easily understand that this pattern of functioning stimulates much more aggression and transgression than the complacent pattern used during childhood.

So we can say that there are good reasons why adolescence is the most aggressive age of life.

Actually, we would be wrong if we said that. There is, in fact another age of life during which we are much more aggressive.

 


As you can see in that picture, if we count the number of assaults enacted on average by males around the age of 3 or 4, we can observe that at this age we are most naughty of the whole life: at this age it happens much more often to beat up mates or assault them, to take objects from them or to yell at them. But why then no one is frightened by an aggressive three-year-old behaviour and we are instead in great alarm when it is a teenager who becomes aggressive or transgressive? This depends on the power of the youth, that is, the harm the youth can do.

The youth during adolescence in some ways is still a child but in a body that is now adult and strong.

Thus, there is a high mismatch in adolescence between the physical and emotional development that provide him or her with very strong energy, and the cognitive development that is still unable to control this energy to put it definitively at the service of social adaptation.

 

At the same time, the teenage must complete some fundamental developmental tasks that will, if all goes well, shortly allow him to access to the acquisition of an adult identity and social role.


If the youth can cope with the

1.   task of subjectification, that means recognise himself as a subject independent and separate from his parents and from all the other adults,

2.   if he can mentalize his body, that means acquire an identity in a positive and harmonious relationship with his now sexed body,

3.   if he can develop good social skills and aspire to acquire an adult social role,

then he can access the adult world and feel powerful and able in that world.

We’re still watching the youth in a developmental dimension, and in developmental psychology dimension these are the three major tasks of, what every teenager must do in order to grow up and become an adult:

Subjectification

Mentalization of sexed body

Adult social skills.

If some of these tasks, for a variety of reasons, cannot be carried out, the teenager will face a developmental crisis, a developmental stop. Something is preventing him from growing. All the power of his body and all the energy his still immature brain produces are not able to unblock the development: the system remains blocked. There is no way to move forward, and anger tends to prevail.

Let me give you an example:

John is in prison. He is 17 years old and when I first meet him, he is very depressed. He struggles to speak. He seems disoriented.

I ask him a question that always use at the beginning of my interviews. I want to know why he is there, so I ask him, "What are you doing here now?"


This sentence is important because every word in this sentence is important: Let's analyse it.

You,   it is a call to identity. It provides the guy with the idea that he is someone and that I’m interested in him and that I am looking at him, and have noticed him. These guys are not use to be seen and recognized by another person who is interested in their identity and in their identity process.

Here, now. The appeal is to the historical dimension. "At this moment in the story, in the narrative of your life, you as the hero of your story why are you in this place? What is the significance of being in this place for your life? What I implicitly want to communicate is that: an important part of the work we're going to do is to find out why you, the hero of the story of your life is here today." Like those novels that open with a scene, which could be prison incarceration, and then in the following chapters tell the whole prologue of that situation.

What are you doing? It brings us back not only to the reasons why that guy got there but it calls to action. It provides the idea that there is now something to do, that he is involved in a task, that that hero, who is him, is there to do something, to solve the crisis he is now experiencing. 

It is an implicit call to a sense of responsibility. The theme of reactivàting responsibility is fundamental in these situations, and the concept of responsibility should be recognized in its double meaning:


responsibility for the crime committed, criminal responsibility, forensic responsibility; and responsibility for our own life: the feeling of being the creator of our own future and relationships, the possibility of perceiving ourself as intentional beings capable of guiding our life. Criminal youth do not have the full awareness that their actions construct the social reality they inhabit. In their experience often, from birth there is the idea that what they do does not change anything in their lives and relationships. There is the idea that their relational actions are not seen by the world, by their parents first and by their social context later. They often have the idea that even if they do so much, nothing changes for them and for people around them. This feeling leads to the lack of responsibility: "if my actions do not change anything, if they do not have a transformative capacity in the relationship with each other, I will experience the anger of powerlessness and I will not be able to deeply recognize the damage that the crimes I have committed, have caused to others, to society to the world. If my action does not change anything, I cannot have any fault for the damage I cause.

 

So when I ask, "What are you doing?" I am invoking the idea that I am interested in the actions of that youth, considered as intentional and purposeful actions. Action he is responsible for, actions he has done (as criminal action, for example) and actions he will have to do in order to build his future.

 

Let’s come back to John. John is in prison for robbery. He has robbed several pharmacies and some banks. John committed these crimes within a few days. Don't think of the bank robberies you see in the movies. He would simply walk into the bank during the daytime or into the pharmacy at night and with a gun ask the teller to give him all the cash money. 

I ask him how he felt when he was robbing and he says he felt excited and strong as he never felt before. With the money from the robberies, a few hundred euros, often no more than that, he would go right away to buy clothes and he can put some money away to buy a motorcycle.

After a few days, police had caught him, recognized him on camera, and then come to take him home. For him it had been a moment of great shame being arrested in front of his entire family. 

It strikes me when he tells that he felt excited while doing the robberies, and I ask him if there were other times in his life when he felt so excited. He tells me that it was actually a difficult time. The girlfriend with whom he had been in a relationship for two years now had left him and taken up with a friend. He had spent some very bad days, locked up in home. Then one night, suddenly he had gone out, entered a pharmacy and robbed it, and for the first time in a long period, he had felt an emotion.

About his family he says he had a very strict father who often got angry with him, his brothers, and his mother. When he got angry, he often beat them and everyone was scared. “When he hit me he didn't hurt me. I didn't feel pain, I knew that I had to resist the pain and to win over the fear. I had to prove to myself that I didn't feel the pain, I didn't feel anything anymore. Nothing was touching me anymore. So I felt invincible.” Says John. (Children who are beaten a lot often have this reaction: they greatly decrease their level of pain perception in order to be able to cope with the abuse. This gives them the feeling of being invincible, but the price is the loss of emotional sensitivity.) “My father could no longer hurt me. - says John - When he beat my mother, however, I wanted to smash his face but I never did. I never had the courage to do it, and I always felt like a coward because of that."

You see here how the delinquent personality is built starting from the story of each person in a developmental view. Often delinquency is associated with traumatic abuse during childhood. in this case, the abuse suffered in the family had created in John a movement of denial of emotions that, on the one hand was functional to maintain a grandiose self-image, feeling invincible, on the other hand had led him to experience himself as powerless, cowardly and afraid in the face of his father's violence toward his mother but especially had led him to no longer feel any emotion, either positive or negative. 

These events marked John's life and invested him with an important evolutionary task: To regain his lost emotions and regain the power that would enable him to save his mother from his father's abuse.

"Then I met Mary.- Says John - We start having some dates, for a while. She respected me a lot. She was different from other people, she regarded me, she told me that I was strong, that I was cool. She made me excited. I wanted to see her all the time and I started being very jealous, I only wanted to protèct her. I didn't like her seeing other people. But inside me I knew that sooner or later he would leave me." You see how in the romantic relationship, in the encounter with Mary, John seems to want to complete his evolutionary task. He regains the lost emotions and the courage to protect his girlfriend, the same courage that had been lacking with his mother. He regains the power that he did’n have at home.

The loose of Mary, makes him experience these achievements as illusory. The world seems to collapse on him. John sinks into a deep developmental crisis in which he closes in on himself, and the depressive breakdown experienced for a few days brings him back to a sense of impotence and the loss of all emotion. This is what depression is: the total loss of all emotion.

So we are in a situation of evolutionary blockage.

There is an author who has worked extensively with young offenders expecially in Italy, his name is Novelletto. He introduces a concept that is very important to understanding delinquent behavior. The concept of "Maturative Recovery Fantasy."


Novelletto believes that when an youth commits a crime he is usually in a situation of developmental blockage. In that situation he fails to perform some of his most important developmental tasks. He can no longer move forward. He finds himself constantly stuck, powerless. In those situations, the fantasy of symbolically recovering the maturation he has failed to achieve, through the criminal act may arise in the young person. The crime becomes the illusory symbolic means to overcome the developmental block, to succeed in completing his developmental tasks and achieve adulthood, the full adult power, the full adult independence.

You see, therefore, that in light of this concept the crime committed by John takes on a different meaning.

Faced with the perception of a developmental blockage, faced with the risk of a depressive shutdown, with the dramatic loss of all his newly found emotions, and faced with the loss of the sense of power and potency that his relationship with Mary had finally made him feel, John feels he must react, that he must once again demonstrate to the world his power. 

The robbery allows him to feel powerful again. The excitement i.e., the thrill that arises when John draws his gun and sees that people are doing what he says, that they are acknowledging his power. In front of him, in those moments, symbolically there is not the bank employee or the pharmacy employee but there is his father that now he can dominate. The fantasy of finally show himself to his friends with designer clothes and a motorcycle, makes him feel even more in his power.

John does not understand how illusory his fantasy of maturative recovery is, and compulsively repeats those behaviors, those crimes, that allow him to feel adult, and powerful.

At the moment when the police arrest him we again see the developmental breakdown and detention becomes the place of depression: John is now locked in his impotence and nothing seems to touch him emotionally anymore. He feels no guilt for what he has done. He simply no longer feels anything. Neither guilt nor pain. As usual, as always in his story.

 

Let us stop a moment talking about John and discuss the treatment of young offenders. Let's see what the literature tells us.

I recommend reading a book where an analysis of hundreds of studies on the treatment of offenders is done. It is called, "What Works Reducing Offending" by James McGuire.


McGuire analyzed hundreds of scientific articles about that and came to the conclusion that there are some treatments that are actually effective in the sense that they decrease the risk of recidivism, that means, they decrease the risk of that young person committing a new crime but there are many other so-called "treatments" that instead increase the risk of recidivism.

 

A first finding concerns the fact that incarceration, prison increases the risk of recidivism. A teenager, but also an adult, when he comes out of prison is more likely to re-offend than before. So we can say that from a certain point of view, the first thing you can learn in prison is to become a criminal. When we put a person in prison we’re teaching him to become a criminal. This already makes us to understand that it is also socially necessary and convenient to minimize imprisonment, in general and particularly for youths. It also makes an impression to know the economic costs as well as the social costs of detention: In Italy, for example, a teenager in prison has a cost for the justice system of about 500 € per day, much more than a luxurious hotel, and I swear that Italian prisons are very different from a luxury hotel at all. You can easily understand how many rehabilitative interventions could be conducted with this amount if the guy could be left in his living environment.

Let's also consider that, at least in Italy, the percentage of detained teenager compared to those who have committed crimes, is very low. I think it is around 10 to 15 percent. All the other continues leaving at home or in treatment community.


A second finding, as you can see in this picture is that all sanctioning treatment, for example punishment-based treatments, have the effect of increasing the risk of recidivism while overall, psycho-socio-educational treatments based on recovering the ateenager developmental skills have a very positive effect, significantly reducing the risk of recidivism.

 


But let us have a more detailed look at which treatments work. McGuire in his meta-analysis of all research on the topic indicates that those treatments that take into consideration the criminogenic needs of the offender, work well reducing reoffending.

It does not work to give punishments, it is not helpful to foster bonding with the peer group, it is also negative to work exclusively on the offender's sense of self and self-esteem or to treat the offender's emotional problems. Criminal thought analysis also does not seem effective, and also the physical exercise that many youths conduct in prisons doesn’t bring great results. 

Instead, all the treatment that deal with criminogenic needs work much more better and significantly reduce recidivism. Criminogenic needs are, those needs to satisfy which the delinquent performs his criminal actions. So it is necessary to understand the underlying motivations, to understand why for that delinquent it is so useful to commit that crime. And it is also important to help the youth to find possible alternative and more socially acceptable sources of satisfaction of his criminogenic needs.

Let’s come back to John, let us see what are his criminogenic needs. The understanding that robberies do not respond to the need for more money, for example, and instead responds to the need to regain his emotions and power, lost during childhood, allows us to consider what intervention to put in place to meet this need, to overcome his developmental block and to finally perceive himself as strong and able to govern his emotions without having to commit more crimes.

 

After the initial interviews conducted with John, during which I analyzed in detail his history, his developmental block, his criminogenic needs, and his fantasy of maturative recovery, it was possible for John himself to become more aware of what had happened to him, of the deep motivation that had led him to commit that crime. As the days passed and the intervention proceeded, John began to be more responsive and less depressed, to understand “what he was doing there”, and consequently, to regain his strength.

He was also able to more easily recognise his deep responsibility for the crime he had committed.

Thanks to this pathway, John was given the legal opportunity to access the benefit of Probation. Probation is a legal benefit used in many countries that allows the young offender, at the moment he assumes responsibility for the crime, to suspend the process that is judging him and to start a re-educational project designed specifically for him for a defined time. At the end of the project, if the youth has succeeded in achieving the rehabilitative goals set out in the project, the crime will be erased and criminally it will be as if it never happened.

This legal benefit can be put in place, even for very serious offenses such as violent crimes, robberies, murders or attempted murders, for example. Research on probation indicates that this legal device is very effective in reducing recidivism: more than 50 percent of juveniles on probation do not commit further crimes.

Coming back to John, he probation program was developed based on the observations that the entire treatment team made, (that means I in my role of psychology, along with educators, guards, social workers, etc.),

This included

1.   placing John in an educational community that would keep him out of the family context, which, in view of his father's behaviors was deemed unsuitable,

2.   John’s placement in a secondary school for mechanics that would help him to create a professional ability in an area, such as motoring, that had always interested him. Such a school was chosen to foster the creation of a skill that would providing John with the opportunity to put his physical power at the service of a recognised profession, thus fostering in him a sense of self-power and self-efficacy.

3.   In addition, after experiencing a theatre course while in prison, John asked to be allowed to continue this activity outside of prison. The work on emotional expression in the theatre context, seemed to respond to John's need to focus on and perceive his emotions, to stay in touch with his more emotional side. 

4.  Lastly, John will continue receive psychological and educational supports.

 

After two years following this project, John was able to successfully complete his Probation. And in a few time, he started working in a machine shop and now fixes large motorcycles in the suburbs of Milan, and within some time he will also gain his own independent living space.

You can see how the legal response, the rehabilitation project, in this case succeeded in meeting criminogenic needs by facilitating in John access to an adapted and satisfying adult life for him canceling the risk of reoffending.

Unfortunately, things do not always succeed so easily, but it is important that we work for a culture of punishment based on the recognition of needs, particularly when we work with teenagers.

What I definitely think is that all the people, but particularly young people have the right to be cared-for, and rehabilitated even if they have committed a crime.

 

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