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Immagine del redattoreCarlo Trionfi

La terapia con il minore

Innanzitutto, nella maggior parte dei casi la domanda di aiuto viene portata dai genitori o dai caregiver di riferimento, i cui rispettivi consensi informati sono necessari per poter avviare un percorso terapeutico.

La terapia con il bambino. Tendenzialmente, i primi colloqui avvengono in presenza dei soli genitori al fine di ottenere informazioni circa la problematica per poterla definire e, di conseguenza, indirizzare il percorso. In seguito ai primi incontri con i genitori, il terapeuta restituisce loro le ipotesi iniziali circa il disagio. A partire dal terzo incontro si può procedere con la convocazione del bambino. L’obiettivo primario del terapeuta a questo livello è quello di spiegare al minore il motivo della consultazione e qual è il ruolo del professionista, per esempio sottolineando come questo rappresenti l’equivalente del medico, ma sul piano delle emozioni. In questa fase è molto importante che il bambino comprenda che lo specialista è un suo alleato e che il suo obiettivo è quello di farlo stare meglio. Infatti, affinché l’intervento risulti efficace è necessario che il minore instauri una relazione di fiducia con il proprio terapeuta, similmente a quanto accade nella terapia con l’adulto, in cui è fondamentale che si crei un’ alleanza terapeutica. Quando si ha di fronte un paziente molto piccolo, il terapeuta si serve di strumenti informativi come il gioco e il disegno al fine di indagarne il mondo interiore. Al termine dei colloqui il professionista ha il compito di restituire al bambino e ai suoi genitori una spiegazione psicologica di quanto visto e affrontato durante la consultazione.

La terapia con l’adolescente. Innanzitutto, si consideri che l’identità dell’adolescente è in costruzione; dunque, la terapia sarà un processo altamente dinamico e in continua evoluzione. È indispensabile lavorare in sinergia con la rete di adulti significativi presenti nei contesti dell’adolescente, come gli insegnanti della scuola, oltre che con i genitori. Poiché uno dei compiti di sviluppo fondamentali dell’adolescente è quello di differenziarsi dalle figure adulte, è necessario stabilire con l’interessato quanto riportare ai genitori e quanto mantenere segreto all’interno del setting. In questo caso, la relazione terapeuta - paziente si costruisce sia sulla fiducia tipica del bambino nei confronti di un adulto significativo, sia sull’alleanza caratteristica del rapporto tra adulti. Al tempo stesso, costruire una relazione in cui il paziente si senta libero di confidarsi con lo specialista rappresenta una delle principali sfide del lavoro con questo tipo di utenza. Poiché l’adolescente presenta delle caratteristiche che si situano a metà tra l’essere un bambino e l’essere un adulto, il terapeuta deve utilizzare una comunicazione e delle tecniche adeguate. Per esempio, utile si rivela lavorare con modalità che si ispirano agli interessi personali del paziente e che promuovano la sua creatività. Infine, rispetto alle altre fasi del ciclo di vita, durante l'adolescenza per il minore assumono particolare importanza le relazioni con i pari, dalle quali è molto influenzato sotto tutti gli aspetti della sua vita. Per questo motivo, il lavoro terapeutico dovrebbe tener conto di questa sfera interpersonale.

Competenze necessarie e trasversali a tutti i tipi di lavoro con i minori.

  1. Comunicazione aperta: si tratta di fare chiarezza sugli obiettivi del percorso e comunicare all’altro, con un linguaggio adatto all’età di sviluppo, che la terapia è un percorso che lo aiuterà ad affrontare al meglio le sue difficoltà ed eventuali emozioni negative. Inoltre, può essere utile aggiornarlo sugli sviluppi del suo percorso;

  2. Gioco: spesso, i bambini comunicano attraverso il gioco. Di conseguenza, è fondamentale che lo psicologo sappia interpretare il gioco del bambino e considerarlo come un mezzo attraverso il quale il piccolo paziente comunica le proprie emozioni;

  3. Rispetto e rassicurazione: dimostrare rispetto verso tutto che ciò che viene condiviso di profondo dall’utente, confortare e sottolineare che la terapia è un luogo sicuro e adeguato per esprimersi;

  4. Ascolto attivo: è necessario che lo psicologo sappia utilizzare l’ascolto attivo come mezzo attraverso il quale creare un clima di fiducia con il minore e comprendere al meglio il significato del messaggio del bambino, espresso attraverso la comunicazione verbale e non verbale. Pertanto, le domande poste dovrebbero lasciare spazio al paziente di comunicare le proprie esperienze.

  5. Coinvolgimento dei genitori: in molti casi è necessario che i genitori partecipino attivamente al percorso e non solo nelle prime fasi, in quanto può rendersi utile osservare il minore all’interno delle sue relazioni;

  6. Costruzione di rapporti: lo psicologo dovrà lavorare gradualmente per creare un clima di fiducia con il bambino. Per raggiungere tale scopo, è importante utilizzare la stessa modalità di comunicazione utilizzata dal paziente. Trattandosi di un bambino, lo psicologo dovrebbe comunicare in modo semplice gli obiettivi del percorso e restituire al bambino una visione della situazione con un linguaggio comprensibile e adatto al suo livello di sviluppo.

  7. Pazienza: il percorso è estremamente soggettivo e la sua durata deve seguire i tempi dell’utente. Di conseguenza, è estremamente importante evitare di forzare dialoghi su temi sensibili, per i quali il piccolo paziente non è ancora pronto.

Si sottolinea infine che quanto esposto sinora riguarda le principali caratteristiche del lavoro terapeutico con il minore. Tuttavia, vi sono tecniche e modalità più specifiche di intervento in funzione della problematica che si affronta, per esempio, nel caso di traumi o di separazione conflittuale dei genitori.



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